Gilles, morto in pista a 32 anni, era un modo di intendere la vita: qualcosa a metà tra l’attore James Dean, pure lui scomparso giovane, e Philippe Petit, che camminò su una fune tra le due torri gemelle
“La Formula 1 è noiosa”. Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase, analoga, per banalità, a quella di chi sentenzia che “non ci sono più le mezze stagioni”? Per alcuni anni forse è stato vero. Ora, per esempio, non è più così. E certamente le gare delle monoposto non erano noiose quando a guidare la Ferrari era Gilles Villeneuve. Oggi il pilota canadese avrebbe settantadue anni e sarebbe, forse, un commentatore delle gare sui circuiti. Ma io non riesco a immaginarlo seduto davanti a un microfono o alla tastiera del computer.
Una freccia
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Gilles Villeneuve era la velocità. Non era solo veloce nella guida. La sua stessa vita era veloce. È stata veloce. Trentadue anni, questa l’età in cui è morto. Suo padre faceva un mestiere che era all’opposto della passione del piccolo Gilles: era un accordatore di pianoforti. Elogio della lentezza assoluta. Gilles aveva iniziato correndo sulla neve, con le motoslitte. Era diventato campione del mondo. Schizzava come una freccia sulla superficie bianca, controllando quel piccolo mezzo. Era minuto di statura, aveva occhi profondi e parlanti, destava tenerezza e rispetto, insieme. A me è sempre sembrato un eroe malinconico, portava con sé qualcosa che sembrava un presagio. Forse per questo l’ho…
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